Kandinskij e il Cavaliere

di Luigi Meneghelli

Monaco 1911: nasce “Der Blaue Reiter” (Il Cavaliere Azzurro). Esso è e non è un gruppo di artisti; è e non è un movimento, una tendenza, un manifesto. Possiede qualcosa di tutto ciò ma è sostanzialmente diverso. E’ una realtà nuova, il calco di una volontà comune di agire, la manifestazione di una vitalità intensa, la ricerca di una sinergia fra le discipline più disparate (pittoriche, poetiche, teatrali, musicali).

L’idea di arte che sta alla base del movimento è quella di realizzare una sorta di immensa opera collettiva. Tendenze contrarie e incompatibili, aspirazioni divergenti, tutte vengono chiamate a concorrere all’elaborazione di un’estetica che Goethe avrebbe definito “un dinamismo che diviene e che passa”. Basta pensare che nella prima mostra del nuovo movimento (tenuta in dicembre presso la Galleria Tannahäuser) sono presenti quarantatre artisti, tra cui Campendonck, Macke, Schönberg, Rousseau, Delaunay e che nella seconda (tenuta presso la Galleria Goltz) il ventaglio delle presenze si amplia ancora di più, fino ad arrivare a trencentoquindici opere di artisti come Arp, Braque, Goncharova, Heckel, Kirchner, Klee, Larionov, Malevich, Nolde, Picasso.

E’ la testimonianza della volontà di condurre e di far conoscere ricerche libere da ogni convenzione. A differenza delle altre avanguardie artistiche del primo Novecento, “Der Blaue Reiter” non è un gruppo “settario”, ma aperto, capace di andare aldilà di posizioni specifiche, incoerenze, divisioni. Kandinskij e Marc, i fondatori, cercano l’anima del secolo nuovo non solo in se stessi, ma anche attorno a sè. E gli artisti (almeno quelli che partecipano alla prima mostra) sono tutti eredi del romanticismo e hanno in comune l’esplosiva soggettività del linguaggio, il predominio della visione “interiore” su quella ottica.

Si è spesso fatto coesistere nella stessa area culturale dell’Espressionismo “Die Brücke” e “Der Blaue Reiter”. Ma se gli esponenti della prima tengono i piedi solidamente piantati sulla terra: la terra intesa come realtà oggettiva, come natura, come cronaca, su cui magari intervenire con un’attitudine visionaria e deformatrice, quelli del “Blaue Reiter” staccano decisamente i piedi da terra, dalla realtà, dalla cronaca. Tendono ad annullare la forza di gravità, facendo dell’arte il luogo mitico o semplicemente leggendario di una possibilità di disimpegno e di abbandono di ogni funzione mimetica. Lasciato il mondo alle spalle, essi si ritrovano davanti al miracolo di uno spazio celeste che emerge, seguendo gli impulsi della loro immaginazione, quasi fosse il riflesso di “una religiosità antica”. E Kandinskij è un po’ il “sacerdos”, la guida spirituale di questo gruppo di adepti. Per lui è necessario giungere “all’essenza delle cose”, in quanto il mondo si sta aprendo a una grande epoca dello spirito. Tutto vi concorre: l’energia psichica di ogni individuo, le teorie di Freud, le scoperte della fisica, la luce della conoscenza iniziatica, l’antroposofia di Steiner, il pensiero esoterico di Florenskij…

E’ un “respiro cosmico” quello che si affaccia sulla scena, un respiro (o un suono) che ha radici profonde, che attraversa tutte le culture, da quella popolare folklorica orientale, a quella mitica che sta all’origine delle immagini sacre dell’Occidente. E’ per questo che Kandinskij ha pensato all’”Almanacco” del gruppo come a un commento senza fine di un’opera universale, ogni volta ricominciata, contraddetta, per sempre incompiuta e indivisibile da sè. Vi appaiono gli artisti anonimi del Dogon, del Benin, dell’Isola di Pasqua, i pittori di ex-voto, le incisioni medievali tedesche, l’esule Gauguin, il doganiere Rousseau, il poliedrico Picasso, fino ai disegni dei bambini e dei malati di mente o alle pagine di musica di Schönberg e Webern.

Der Blaue Reiter” è l’annuncio della fine della storia dell’arte come storia degli stili. E’ il sogno di un’opera totale, fondata sulla necessità interiore e sul bisogno dell’uomo di dare forma ai misteri e ai sogni della propria vita.