Altri Labirinti

di Fabio Zannoni, direttore artistico del VeronaContemporanea Festival

Torniamo dentro il labirinto a perderci piacevolmente. Torniamo, come nelle precedenti edizioni di VeronaContemporanea, a districarci negli intrecci, nelle intersezioni, negli snodi di mondi musicali i cui confini non ci paiono più ovvi. Ancora, continuiamo a farci guidare dalla sollecitazione di Borges, che ci dice di cogliere quei momenti che sappiano prepotentemente “impossessarsi dell’immaginazione degli uomini”. Ed è attraverso questo percorso che abbiamo cercato, dentro l’immaginazione, di cogliere il senso di quelle forti spinte creative e di quei percorsi che sappiano indicarci la varietà degli approcci e degli indirizzi di cui si è venuto costellando il panorama musicale novecentesco e contemporaneo. Ed è proprio indagando dentro i percorsi dell’immaginazione che abbiamo come riscoperto l’infinita serie di possibilità della musica di sapersi rinnovare, percorrendo nuove e antiche strade.

Ci siamo ritrovati quindi, di nuovo, ad individuare nel canto e nella voce il senso più autentico di una ricerca che ha saputo arricchirsi, nell’indagine attraverso le diverse coniugazioni della vocalità; una ricerca che, non a caso, è andata a scavare nelle radici più autentiche delle tradizioni popolari, con autori come De Manuel de Falla, Igor Stravinskij e Luciano Berio. Ma anche nel raffronto, ardito e affascinante, della vocalità corale contemporanea con il grande moderno della tradizione polifonica rinascimentale: Carlo Gesualdo da Venosa. Fino al viaggio, attraverso i confini della vocalità, tra passato e presente, Oriente e Occidente, sacro e profano, proposto dalle sperimentazioni e dalle mirabolanti acrobazie vocali della cantante spagnola Fátima Miranda.

VeronaContemporanea prosegue quindi nell’esplorazione di una delle tendenze che hanno segnato fortemente gli sviluppi del pensiero musicale contemporaneo, il minimalismo, sia sul versante accademico che della musica rock, proprio per la prossimità che si è venuta a determinare tra questi due mondi, ed in modo evidente e forte in un autore come David Lang.

Quale migliore risorsa per la nostra indagine nei percorsi dell’immaginazione quindi se non quella derivata dal gesto strumentale improvvisato? Quell’improvvisazione, che sempre ha accompagnato nel corso del tempo il percorso del pensiero musicale, e che di fatto ha saputo diventare, nei suoi diversi approcci stilistici e con diverse basi metodologiche, una componente fondamentale del fare e del percepire la musica oggi: jazzistica, popolare, rockettara o aleatoria.

Guardando oltre la musica, ci siamo poi spinti a cercare di indagare cosa c’è dietro il mondo delle visioni di colori legate ai suoni: quelle sinestesie, che musicisti come Olivier Messiaen e Alexander Skriabjn si sono sforzati di spiegare e di rendere sonoramente visibili. Ma, assieme ad un interprete sensibile e acuto come Emanuele Arciuli, abbiamo cercato di delineare un percorso che andasse oltre i propositi di autori ‘intenzionalmente sinestesici’, per vedere ciò che può scaturire, sul piano dell’immaginazione o della visione sinestesica, dalla musica di autori come Marcello Panni, Giacinto Scelsi, John Cage, Charles Ives. In tale direzione, l’allestimento che proponiamo de “Il suono giallo” – azione coreografica od opera multimediale, pensata e maturata da Vasilij Kandinskij, nel clima culturale e nei ferventi anni d’inizio secolo – rappresenta la quintessenza di una tensione ideale ed utopica verso un’unità espressiva di musica, colore, e movimento, che erano proprie di un artista che aveva propugnato “la profonda ragione interiore” di tale unità. E lo vogliamo proporre nella versione messa in musica, da Alfred Schnittke negli anni settanta, con puntuale e lucida fantasia sonora.

Con il “Ritorno a Maderna” continuiamo, pervicaci, nella nostra indagine su questo compositore, cercando di contribuire a favorire il rilievo della sua opera, che sta progressivamente venendo alla luce nella considerazione del panorama del Novecento musicale. E siamo in un certo modo orgogliosi di contribuire a coltivare quest’eredità, che ha le sue radici nella tradizione novecentesca e che continua a rivelarci spunti di straordinaria modernità; un musicista, radicato nell’ambiente delle avanguardie europee più radicali, ma che sapeva guardare ed immergersi con disinvolta e acuto spirito di introspezione al mondo delle altre musiche, delle canzoni, del jazz, così come quelle dell’Opera da tre soldi di Kurt Weill.

Sullo sfondo si staglia la figura di John Cage, di cui nel 2012 ci celebra il centenario, che sta lì a ricordarci la sua grande lezione di modernità. Una modernità ed un pensiero musicale che hanno saputo crescere attraverso la ricerca di altre prospettive e logiche del divenire musicale, fino ad indagare i suoi nessi e le sue implicazioni con la casualità ed il silenzio.

La nostra riflessione sulla contemporaneità musicale resta quindi, sì, ancora fortemente legata alla riflessione sul Novecento (ancora compaiono Schoenberg e Stravinskij!), come se non riuscissimo a lasciarci alle spalle i sedimenti del ‘secolo breve’, come se le aporie che ci portiamo dietro non fossero ancora risolte. Ma è sostanzialmente da una riflessione intorno ad una sottile rete di relazioni, che la tradizione della modernità continua avere con il presente musicale, che può emergere una particolare prospettiva della contemporaneità: anche per come, oggi, i tanti modi di affrontare la musica – dei diversi mondi, del pop, del rock, del jazz – continuano a loro volta ad attingere ed a guardare, con varie intermittenze, alle tradizioni avanguardiste; possiamo quindi imbatterci nei reticoli e nei meandri di linguaggi e stili dove il gusto per le dissonanze più estreme e rumori può ormai considerarsi accettato dall’orecchio moderno, dove rumori e dissonanze sono ormai patrimonio comune di un mondo musicale contemporaneo in cui costantemente si moltiplicano e si intersecano, tendenze e sensibilità: altri labirinti in cui piacevolmente ci perdiamo.