Schoenberg espressionista ma anche un po’ impressionista

Arnold Schoenberg, Cinque pezzi per orchestra

di Cesare Venturi

Non è certo al “ceto medio dello spirito” che la musica radicale di Arnold Schoenberg si rivolge. Le difficoltà, oggi come un secolo fa, sono rimaste intatte, come anche il fascino di un pensiero rigoroso e profondo, di una genialità nel combinare i suoni.  Il compositore viennese, nel presentare la partitura dei Cinque pezzi per Orchestra Op.16 circa un secolo fa ottenne un cortese rifiuto da parte di Richard Strauss che disse candidamente che non poteva certo presentare al pubblico berlinese così conservatore “degli esperimenti musicali così audaci nel suono e nel contenuto”. E a proposito di una altro capolavoro per grande orchestra, successivo all’Op. 16, le Variazioni per orchestra Op. 31, che inaugurano la tecnica dodecafonica, dobbiamo ricordare che il direttore della prémiere, Wilhelm Fürtwängler, le diresse solamente una volta, preferendo eliminare l’opera, visto lo scarso successo, a dirigere l’opera nelle repliche successive del concerto.

Eppure con queste due importanti opere vediamo nel breve volgere di pochi anni (1909, data di composizione dell’Op. 16 e 1926-28 dell’Op. 31) uno sconvolgimento epocale, nel concludersi per esaurimento evolutivo la storia della tonalità, e nell’inizio di un nuovo ordine quale la dodecafonia avrebbe garantito per i decenni a venire.

I Cinque pezzi Op. 6 appartengono ad una fase in cui il laboratorio schoenberghiano, sulla spinta di analoghe esperienze di arte figurativa e di poesia, esprime una forte violenza creativa, che va sotto il nome di Espressionismo e che in musica si traduce nel rifiuto delle regole tradizionali di armonia, nell’abbandono di un tematismo evidente e riconoscibile e di una pulsazione ritmica regolare.

Che la strada verso l’astrazione non fosse ancora rettilinea (ma la capacità e la coscienza dei propri mezzi da parte dell’autore assolutamente sì) lo dimostra il titolo, decisamente antiespressionista e le dichiarazioni di Schoenberg che nella musica non si debba cercare null’altro che quanto espresso attraverso i suoni (“nella traduzione in concetti, in linguaggio umano, va perduto l’essenziale, il linguaggio del mondo, che forse deve davvero rimanere incomprensibile ed essere soltanto intuibile”). Eppure nella seconda edizione della partitura riveduta e corretta nel 1922, forse per richiesta dell’editore, il musicista apportò i cinque pezzi dei titoli, che sono nell’ordine: 1. Presentimento (Molto allegro); 2. Il Passato (Andante); 3. Colori o Mattino d’estate su un lago (Moderato); 4. Peripezie (Molto allegro); 5. Recitativo obbligato (Allegretto).

La scrittura di questi brevi brani è molto densa; l’orchestra, di grandi dimensioni, tende a frantumarsi riducendo la propria massa sonora in una miriade di frammenti tematici caotici, quasi relegati al significato di gesti. Gli strumenti sono trattati individualmente, le melodie passano da uno strumento all’altro in un gioco timbrico estremamente cangiante e in un cromatismo estremo. Capolavoro di quella che è stata definita dall’autore come “klagfarbenmelodie” (melodia di timbri”) è il terzo pezzo, non a caso intitolato Farben (colori), un impressionistico gioco di rimandi tra strumenti su un unico accordo dolcemente dissonante, di imperturbabile bellezza