Gli Hobocombo sulle orme di Moondog

Il musicista di strada newyorkese degli anni ’40, precursore del minimalismo, in bilico tra cultura alta e pop. Tra i suoi estimatori, Arturo Toscanini, Charlie Parker e Philip Glass

di Andrea Belfi

La nascita di Hobocombo risale alla scorsa primavera. Ci conoscevamo da tempo e da tempo ci tenevamo d’occhio per via dei nostri percorsi musicali, a volte paralleli, a volte divergenti, ma sempre accomunati dalla tensione verso la sperimentazione e la ricerca sonora e compositiva. L’occasione di fare qualcosa insieme ci è stata data da un invito di Verona Risuona, un festival che si svolge nelle strade della città. Il contesto ci ha suggerito di realizzare un omaggio a quello che per noi è probabilmente il più imprevedibile e geniale artista di strada del Novecento: Thomas Louis Hardin, in arte Moondog.

Cieco dall’età di sedici anni Moondog (Marysville 1916 – Münster 1999) è stato musicista, poeta e compositore. Si esibiva a New York, all’angolo fra la 6a Avenue e la 52a Strada indossando un lungo mantello e un elmo da vichingo. In contatto con esponenti della musica colta (fra i suoi estimatori ci fu Arturo Toscanini) e con musicisti della scena be-bop (fu amico di Charlie Parker, cui dedicò un brano) è considerato un precursore del minimalismo per la grande influenza che esercitò sui giovani Philip Glass e Steve Reich, con cui realizzò alcune incisioni di fortuna. É uno degli artisti simbolo della New York degli Anni Sessanta: un’icona trasversale, in bilico tra cultura alta e pop. Entrare nel linguaggio musicale di Moondog è stata ed è per noi un esperienza molto stimolante, un’immersione in un paesaggio vastissimo che accoglie in un solo abbraccio il minimalismo, la musica dei nativi americani, il jazz, il contrappunto; una musica che si serve del canone come dello swing e mette in crisi la forma canzone senza tradirne l’immediatezza.

Abbiamo cominciato a trasfigurarne le composizioni per un organico ‘quasi rock’, portatile e stradale (chitarra, contrabbasso, batteria), abbiamo poi ricorso anche alle voci, amplificando il carattere mantrico e circolare dei brani, ispirandoci ai modelli della scena musicale folk-rock della Canterbury degli anni ’60/’70; abbiamo quindi introdotto un sintetizzatore che restituisse, congelate, alcune linee di fiati. Servendoci di sonorità classiche e arcaiche, sinfoniche e psichedeliche, abbiamo costruito un melting pot ancor più eccentrico, se possibile, dell’originale, capace di evocare un indefinito passato mitico, insieme ad una brulicante contemporaneità urbana.