Tra lo studio di fonologia e la taverna messicana

Le incursioni di Maderna nel jazz e nel mondo delle altre musiche, fino ai memorabili arrangiamenti delle canzoni di Kurt Weill

di Leo Izzo

Sulle incursioni di Bruno Maderna nei territori del jazz esistono svariati aneddoti e leggende, in gran parte ambientati nell’effervescente realtà milanese degli anni Cinquanta: una città in cui pochi passi separavano lo Studio di Fonologia (il laboratorio elettroacustico fondato da Maderna e Luciano Berio nella sede RAI di Corso Sempione) e la Taverna Messicana, un luogo di riferimento per la scena jazzistica italiana. Per molti musicisti jazz che frequentavano il locale, la presenza di un avventore fuori dal comune come Maderna rimase nel tempo un evento memorabile. L’interesse di Maderna nei confronti del jazz, tuttavia, va ben al di là dell’aneddotica e si può riscontrare in gran parte delle sue collaborazioni nell’ambito del cinema e della radio. Il suo ingresso nel mondo radiofonico avvenne nel 1949, quando la RAI chiese a Maderna di realizzare le musiche per il radiodramma Il mio cuore è nel sud, su testo di Giuseppe Patroni Griffi. Il drammaturgo, per le musiche del radiodramma, aveva immaginato delle “espressioni jazzistiche in un clima d’arte” e Maderna scrisse una partitura in cui convivevano tecnica dodecafonica e allusioni al jazz. L’anno successivo il regista Antonio Leonviola contattò Maderna per il film Le due verità e il compositore, forte dell’esperienza precedente, continuò a inventare sonorità jazzistiche deformate dal filtro della serialità. In questa partitura, Maderna, rivisitando gli stilemi del cinema noir, inserì anche un intenso intervento per pianoforte dai tratti marcatamente bebop per dipingere una Milano notturna e popolata da figure ambigue. Sfortunatamente però, a metà del lavoro compositivo, la complessità della partitura spaventò il regista e, dopo un duro scontro tra i due, quest’innovativo progetto di colonna sonora fu definitivamente abbandonato.

Maderna tornò alle sonorità jazzistiche nel 1959, registrando, tra le altre cose, un piccolo gioiello dell’intrattenimento radiofonico, Il cavallo di Troia (1959), musicato interamente con un organico da big band. La radiocommedia, basata su un romanzo di Chirstopher Morley, ripropone la guerra tra Troiani e Ateniesi nel contesto della moderna società americana: in una dimensione surreale classicità e contemporaneità si confondono in continuazione e l’elemento jazzistico amplifica l’effetto di “spostamento”. Come nella tradizione del musical americano i dialoghi sono inframmezzati da pezzi cantati e, tra i vari songs, la canzone di Cassandra spicca per leggerezza e humor. Nella trasposizione in chiave moderna, la veggente diventa un’irriducibile dimostrante pacifista, emarginata e ridicolizzata per le sue predizioni nefaste: nel corso del brano, l’instabilità emotiva di Cassandra viene resa in modo vivido dalla musica, con repentini cambi di stili e di tempo. Negli anni Sessanta Maderna si avventurò con meno frequenza nei territori del jazz, realizzando però, nel 1964, un’operazione memorabile, con due dischi dedicati alle canzoni di Kurt Weill. I brani cantati in un’inusuale versione italiana, il voluminoso apparato di informazioni sulla figura di Weill a cura del musicologo Roberto Leydi, la riuscitissima interpretazione vocale di Laura Betti – sempre sul filo dell’ironia –, gli immaginifici  arrangiamenti maderniani e la partecipazione di grandi esponenti del jazz italiano come Gianni Basso e Oscar Valdambrini, fanno di questi dischi uno degli incontri più riusciti tra ciò che ancora oggi ci si ostina chiamare musica “alta” e musica “bassa”.